Vintage mania

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Vintage mania: breve guida al collezionismo del gioiello fantasia
Se ne trova in ogni negozio, più o meno costosa, bella e originale. La bigiotteria rappresenta l’accessorio femminile per eccellenza e da sempre accompagna la vita della donna, variando col tempo e la tecnologia: ha una storia, articolata ed affascinate, che inizia nel Settecento e procede fino ai giorni nostri. Questa bigiotteria, ancora ampiamente diffusa, viene oggi definita vintage.
La nascita della bigiotteria, intesa come gioielli non preziosi o gioielli fantasia, è legata ad una serie di sconvolgimenti politici e sociali che scossero l'Europa del Settecento. In quel periodo, si è assistito alla particolare diffusione degli ideali illuministici di libertà e uguaglianza sociale, che hanno inculcato nelle classi meno abbienti un interesse verso oggetti di lusso fino ad allora destinati solo ai ceti più elevati.
Hanno così cominciato ad avere larga diffusione gioielli realizzati con materiali alternativi ai preziosi, anche sotto forma di copie di gioielli autentici da indossare durante i viaggi o nelle occasioni informali.
Molti furono i protagonisti di questa rivoluzione nel campo del gioiello e alcuni ebbero un tale successo da acquisire titoli di grande importanza, come quello di gioielliere ufficiale del re di Francia, attribuito a George Frederic Strass (1701-1773), al quale dobbiamo l'invenzione dello strass, largamente impiegato ancora oggi in bigiotteria. Inoltre la crescente richiesta di gioielli non preziosi spinse alcuni personaggi, tra cui l'orologiaio londinese Christopher Pinchbeck (1671 - 1732) e l'industriale Matthew Boulton (1728 – 1809), ad avviare una produzione di gioielli realizzati con metalli di loro invenzione, come ad esempio il “princisbecco” (o similoro), lavorati con tecniche nuove, come “l'acciaio sfaccettato”.
Verso la metà del Settecento, le scoperte archeologiche di Ercolano e Pompei diffusero una vera e propria passione per lo stile classico greco e romano, caratterizzato da linee alquanto sobrie, che si contrapponevano alla frivolezza e all'artificiosità caratteristiche delle corti europee. Città come Venezia, Firenze e Roma prontamente avviarono una vera e propria produzione in massa di gioielli: souvenir realizzati con tesserine in vetro o pietre semipreziose (gioielli a micromosaico) che riproducevano monumenti, affreschi di Pompei, mosaici e temi legati all'arte classica.
Con l'inizio del nuovo secolo, l’Ottocento, questo amore per il classico, denominato “stile impero”, continuò ad ispirare la moda del gioiello e Napoleone contribuì notevolmente alla sua diffusione in tutta Europa: scelse dei cammei per la corona della cerimonia ufficiale tali da creargli un legame con le antiche potenze imperiali della storia ed entrambe le imperatrici, Giuseppina e Maria Luisa, possedevano parure realizzate con micromosaici italiani.
Per tutto l'Ottocento si cercarono nuovi materiali per imitare pietre e metalli preziosi: in ogni paese europeo, ma anche negli Stati Uniti, la tendenza imperante fu quella d'incrementare la produzione industriale e la diffusione di oggetti creati in serie a basso costo.
Nella frenesia legata al progresso tecnico e scientifico si rispolverarono gli stili del passato e vennero realizzati in grandi quantità gioielli preziosi e non in stile archeologico, neoclassico, neogotico, neorinascimentale, fino al liberty, con il revival dello stile celtico. Con l'aiuto delle nuove macchine e l’impiego di materiali meno costosi come le prime plastiche, i nuovi tipi di vetro colorato e metalli placcati o laminati in oro (come il gold-filled), si cercò di ricreare i gioielli che avevano avuto grande successo durante la storia passata.
All'alba del Novecento nacque l'Art Nouveau, anche come sorta di rifiuto per mancanza di nuove idee nel design, e cercò in ogni modo di contrastare la fredda produzione industriale con uno stile più sinuoso e sensuale e attraverso la realizzazione di prodotti artigianali.
Il successo di questo movimento è da ricercare soprattutto nelle grandi Esposizioni Universali tenutesi a Parigi (Renè Lalique vinse il Grand Prix nell'edizione del 1900), Londra, Torino, New York e Vienna. Fu infatti grazie ad esse che si sviluppò la figura del designer come professionista itinerante, conteso dai maggiori produttori del suo tempo, la cui formazione avveniva all'interno di scuole specializzate legate al movimento Arts and Crafts (arti e mestieri).
Proprio per rivalutare la figura dell'artigiano e preservare la creatività artistica dalle pressioni commerciali, venne fondata in Germania una colonia di artisti, liberi di esprimere il proprio talento e in stretto contatto con i principali produttori. Questa stretta collaborazione fece la fortuna del più importante industriale tedesco con tendenze artistiche innovative, Theodor Fahrner, che, esponendo per la prima volta i gioielli della colonia, conquistò il secondo premio durante l’esposizione universale del 1900, vinta da Lalique.
Nonostante gli stili di Fahrner e Lalique fossero profondamente diversi, il fatto che entrambi siano stati premiati lo stesso anno ci mostra quanto fosse importante in questo periodo l'idea che il valore di un gioiello non fosse determinato dal suo materiale, ma dalla qualità artistica del creatore: il gioiello acquista importanza in quanto oggetto d'arte e, poiché l'arte si esprime con più libertà utilizzando materiali non preziosi, la bigiotteria inizia a staccarsi dalla produzione del gioiello autentico, assumendo finalmente una propria identità.
Lo storico Max Friedlander, sostiene che: “un paio di scarpe possono dirci di più di una cattedrale, perché un capolavoro è frutto di un genio individuale, mentre gli oggetti di tutti i giorni sono espressione tangibile dello spirito dei tempi”.
Osservando il Novecento ci rendiamo conto di quanto questo secolo sia ricco di nomi importanti, che hanno fatto tendenza nel mondo del gioiello fantasia divenendo una sorta di rivelatori del gusto collettivo di intere generazioni.
Dopo i gioielli della Belle Epoque, durante i ruggenti anni Venti, la produzione del gioiello fantasia seguì la tendenza artistica dell'Art Decò: linee più rigide, squadrate e geometriche, ispirate ai dipinti cubisti di Pablo Picasso e George Braque.
In questo periodo, nacquero negli Stati Uniti le più importanti industrie di produzione di gioielli a basso costo: ditte come Cohn & Rosenberger (marchio Coro) e Trifari divennero le più importanti produttrici del settore al mondo. Grazie al contributo di designer d'eccezione (Adolph Katz firmò la produzione a marchio Coro a partire dal 1924, mentre Alfred Philippe disegnò per Trifari dal 1930 al 1968), provenienti dalla Maison Cartier o dalle maggiori scuole di design europee, vennero prodotti in grande quantità gioielli fantasia ispirati ai maggiori produttori di gioielli autentici, impiegando materiali alternativi come la bachelite, la pasta vitrea e metalli come l'ottone cromato, l'argento o la lega di stagno denominata “pot metal”, più adatti alla modellazione con stampi industriali.
La fine degli anni Venti fu segnata dalla grande depressione del 1929 e per tutti gli anni Trenta imperò lo stile del Tutto Bianco: ditte come la Eisenberg & sons. di Chicago avviarono la produzione di gioielli di grandi dimensioni in metallo bianco rodiato, con largo impiego di swarovski bianchi incastonati a mano e firmando le linee “Eisenberg Original” e “Eisenberg Ice”.
In questo periodo stiliste del calibro di Elsa Schiapparelli e Coco Chanel incoraggiarono le loro facoltose clienti ad indossare gioielli fantasia dalle forme bizzarre, mescolando i gioielli veri con quelli falsi e sfidando le convenzioni. Si inaugurò così la produzione di gioielli non preziosi strettamente legati al mondo della moda e la bigiotteria divenne, come la definirono gli americani, Costume Jewelry: un accessorio legato alla storia del costume, pensato per essere abbinato ad uno stile o ad un abito ed indossato per un'occasione particolare.
Appartengono al genere Costume Jewelry i gioielli da cocktail, studiati per brillare sotto le luci artificiali delle feste da ballo, quelli di grandi dimensioni disegnati per le star cinematografiche da Joseff di Hollywood o quelli destinati alla propaganda patriottica durante la seconda guerra mondiale.
Il gioiello di fantasia in stile retrò, prodotto dal 1929 al 1945, non era più dunque solo un'opera di design che rispecchiava il gusto artistico in voga nel periodo, ma venne anche pensato per adattarsi ad un particolare stile di vita.
Presto però la mancanza di cristalli swarovski, dovuta alle ristrettezze nelle importazioni dall'Europa, costrinse i designer a puntare sempre più sul metallo (soprattutto sterling e vermeil) e sulla fantasia dei creatori realizzando, in tempi di grande disagio economico e sociale, i gioielli fantasia più belli ed interessanti di tutta la storia della bigiotteria moderna.
Tutti i produttori cercarono di rispondere, a modo loro, all'esigenza psicologica di evasione da una realtà cupa e spaventosa come quella del secondo conflitto mondiale. Appartengono a questo periodo le spille e i girocolli più allegri e divertenti, le Coro Duette più importanti, le creazioni dei fratelli Mazer, di Marcel Boucher e della ditta Hobè e Monet.
Poco più avanti, durante il periodo post-bellico, negli Stati Uniti si assistette ad una esplosione di ottimismo e prosperità, con una piena ripresa economica e la conversione di impianti fino ad allora impiegati per scopi bellici in strumenti capaci di realizzare enormi quantità di beni di consumo prodotti in serie. Allora per soddisfare il sempre maggior interesse verso swarovski e pietre colorate, i gioielli fantasia si trasformarono in oggetti di lusso estremamente femminili che seguivano soprattutto lo stile degli abiti creati da Christian Dior.
La ditta Swarovski inventò dei cristalli dal colore cangiante (aurora boreale), palesemente falsi ma di grande effetto; Elsa Schiapparelli lanciò una linea impiegando paste vitree colorate; Marcel Boucher creò pezzi con pietre dal taglio complesso e montature elaborate, ispirandosi alle tecniche utilizzate da Cartier per i suoi preziosi; Miriam Haskell ideò uno stile personale, ispirato a modelli bizantini e indiani, utilizzando perle barocche e cristalli fissati a mano su supporti di un metallo particolare, dalla finitura calda e opaca, denominato oro russo antico.
Per tutti gli anni Cinquanta, la produzione in serie europea non ebbe una portata paragonabile a quella degli Stati Uniti, ma a partire dagli anni Sessanta l'Europa riprese la produzione e designer francesi ed italiani cominciarono ad influenzare il mercato americano.
Dal 1961, accanto alla ribellione giovanile nata in risposta al modello troppo maturo di Christian Dior, si diffuse una nuova immagine legata al fascino dei viaggi nello spazio: la nascita dello stile spaziale e della Optical Art.
Lo stile dell'era spaziale propose una gran quantità di gioielli realizzati con innovative materie plastiche acriliche, lisce e traslucide, che potevano essere tagliate e colorate per realizzare bracciali, anelli, collane e ogni tipo di oggetto alla moda. Tipica espressione di questa tendenza fu la linea di abiti e accessori lanciata da Paco Rabanne, realizzata esclusivamente con dischi in plastica Rhodoid o con dischi in metallo sovrapposti, spesso combinati con materiali insoliti come cuoio e pelliccia. Era infatti convinto che, data la grande quantità di produzione già esistente nel campo della moda, l'unico modo di creare qualcosa di totalmente nuovo fosse quello di impiegare materiali innovativi: riuscì con questi a creare abiti che sembravano gioielli e gioielli che vestivano come abiti. I suoi colori stridenti e fluorescenti seguivano gli studi della Optical Art per creare nello spettatore grande impatto visivo e particolari reazioni ottiche e psicologiche legate al culto delle immagini.
Il culto dell'immagine fotografica è la caratteristica saliente di questo periodo storico culturale e, dato il suo legame imprescindibile con i mezzi di comunicazione di massa, portò alla produzione di enormi quantità di gioielli economici, prodotti in serie.
A questa frenesia del consumismo si contrappose il movimento hippy Flower Power, teso alla diffusione di ideali basati su valori non mercantili. In realtà però anche questo movimento venne largamente sfruttato dai media. Tipici di questo periodo sono infatti le spille in latta smaltata a forma di margherite, i ciondoli a forma di segno della pace e i gioielli coi simboli zodiacali.
Uno dei designer più importanti del periodo fu Kenneth Jay Lane. Iniziò ad occuparsi di bijoux nel 1962 con una produzione di alta qualità basata su temi della tradizione orafa del passato e realizzata, su commissione, perfino per Jaqueline Kennedy Onassis, la duchessa di Windsor, numerose first lady americane e attrici di livello internazionale, come Sofia Loren e Raquel Welch.
Le varie ditte già citate continuarono la produzione adeguandosi al nuovo stile. Ritengo però doveroso elencare anche altri marchi di grande successo, che accompagnarono la vita del gioiello fantasia dai primi decenni del Novecento fino agli anni Settanta, Ottanta ed oltre e in cui non è insolito imbattersi ancor oggi: Hattie Carnegie aprì la sua ditta nel 1918 e continuò la produzione di gioielli romantici e figurativi (soprattutto animali) fino al 1976; Castlecliff, ditta fondata da Clifford e Markle a New York nel 1918, lavorò nel campo dei gioielli fantasia dal 1941 fino al 1977, divenendo parte delle industrie di Pierre Cardin durante gli anni Ottanta; Avon, nata nel 1886 e tuttora in attività nella vendita per corrispondenza; Weiss, creata da Albert Weiss nel 1942 dopo un'esperienza lavorativa presso la Coro, alla quale si deve la produzione di bigiotteria con swarovski e pietre di alta qualità fino al 1971; Sarah Coventry, caratterizzata da un design estremamente giovane ed eterogeneo, nata a New York nel 1949 da un'idea del suo creatore Charles Stuart e in
attività fino al 1984; infine la ditta Monet, che iniziò la sua avventura nel lontano 1937 e i cui bijoux si possono ancora trovare sugli scaffali di Coin.
Facendo una ricerca nel passato ci si rende conto del perché queste ditte, sopravvissute a guerre e ristrettezze economiche, siano ancora così apprezzate ai giorni nostri: il loro segreto sta nella passione di uomini e donne per il proprio lavoro e nella voglia di affermarsi attraverso la ricerca di nuove idee, senza mai perdere di vista la qualità o cadere nella banalità.
Sono queste caratteristiche che hanno reso il vintage così popolare negli ultimi anni e che attirano una folla sempre più nutrita di appassionati in cerca di cose divertenti, lontane dalla monotonia del design globalizzato, che sappiano raccontare storie e trasmettere valori...in una parola: irripetibili!

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